Oggi affronteremo un tema rosa, ma che di roseo purtroppo ha ben poco, in quanto disturbo ancora poco conosciuto e capito.
Approfondiamolo assieme!
La vulvodinia è un disturbo a carico della vulva e dei tessuti circondanti l’accesso alla vagina, caratterizzato principalmente dalla percezione di bruciore e dolore, estendendosi di norma alla sola zona vulvare, ma altre volte interessando ano, principio delle cosce e glutei.
Spesse volte, le pazienti riferiscono di avvertire il dolore in maniera cronica e pungente, e talvolta in modo molto intenso.
Il disturbo prescinde dall’età, potendo colpire una donna dalla fase adolescenziale sino alla menopausa, e talvolta divenendo un disturbo cronico.
Nonostante colpisca circa il 12-15% delle donne, viene tutt’oggi considerata una patologia ‘invisibile’ e dalla diagnosi spesso tardiva, responsabile del condizionamento delle relazioni (creando un calo del desiderio sessuale), e determinante un generale peggioramento della qualità della vita, con aumento di ansia e depressione.
Si distingue in:
- Vulvodinia spontanea: quando la manifestazione dolorosa sorge in assenza di stimoli;
- Vulvodinia provocata: la manifestazione dolorosa ha luogo a seguito di stimolo (rapporto sessuale, inserimento di tampone vaginale ecc.).
Se il disturbo interessa tutta l’area vulvare si parla di vulvodinia generalizzata, sarà localizzata se invece coinvolge solo zone specifiche, come clitoride o vestibolo.
Quali sono i sintomi della vulvodinia?

I sintomi si manifestano come:
- Dolore durante i rapporti sessuali (dispaneuria)
- Manifestazione eritematosa della zona vulvare e/o vestibolare
- Gonfiore vulvare
- Sensazione di irritazione
- Bruciore
- Sensazione tipica di ‘punture di spillo’
- Secchezza
Quali, invece, le cause della vulvodinia?
Sembrano essere molteplici e spesso correlate tra loro, in particolare:
- Infezioni reiterate da parte del fungo Candida Albicans
- Rapporti sessuali con scarsa o assente lubrificazione
- Intervento chirurgico della vulva
- Biopsie vulvo-vaginali
- Utilizzo di biancheria intima sintetica
- Utilizzo di detergenti intimi aggressivi
- Praticare sport che possono creare microtraumi (come spinning ed equitazione)
- Traumi psicologi. Relativamente a questo punto, lo stress cronico indotto da fenomeni psicologici stimola la produzione di cortisolo ed adrenalina, attivando i sistemi di allarme dell’organismo, abbassando la soglia del dolore e aumentando la liberazione di sostanze infiammatorie da parte dei mastociti, da cui poi, come spieghiamo più giù, il dolore cronico.
È importante sottolineare come tutti questi fenomeni possano essere di stimolo all’attività dei mastociti, cellule immunitarie che favoriscono la cronicizzazione della vulvodinia, inducendo uno stato di infiammazione prolungato. In aggiunta, i mastociti promuovono l’attivazione dell’NGF, ovvero il fattore di crescita nervoso, che promuove la proliferazione delle terminazioni associate alla percezione del dolore, creando uno stato di iperalgesia (reazione amplificata e prolungata ad uno stimolo doloroso di modesta entità) e/o allodinia (evocazione del dolore a partire da uno stimolo normalmente non dolorifico).
In aggiunta, il dolore vulvare (come nel caso della dispaneuria) può provocare uno spasmo muscolare permanente (ipertono del pavimento pelvico), a sua volta responsabile del dolore ed innescando, così, uno spiacevole circolo vizioso.
Qual è la diagnosi per la conferma della vulvodinia?
La diagnosi della vulvodinia viene realizzata previa visita ginecologica e raccolta di dati anamnestici della paziente.
Segni importanti a conferma della vulvodinia risultano l’accresciuta sensibilità alla pressione sulla vulva e la positività al test per l’allodinia, o swab test: tale test consiste nel generare contatto in alcuni precisi punti vestibolari con un cotton-fioc;
se la reazione suscitata è di una fastidiosa sensazione dolorosa, si conferma la sindrome.
In cosa consiste la terapia per la vulvodinia?
La modulazione del dolore da vulvodinia può essere realizzata previa massaggi con anestetici locali come la lidocaina, o applicazione di sodio cromoglicato, che stabilizzando le membrane dei globuli bianchi (mastociti inclusi), ne interrompe l’infiammazione neurogena.
Altri approcci farmacologici implicano l’uso di classi di farmaci come gli antidepressivi triciclici e anticonvulsivanti.
Ma c’è dell’altro!
Psicoterapia e riabilitazione del pavimento pelvico (in donne che presentano un ipertono dei muscoli vaginali) sono due approcci utili al controllo delle contrazioni muscolari – come nel caso del biofeedback elettromiografico che permette alla donna di apprendere un metodo di auto-rilassamento utile al controllo del dolore.
Un’altra tecnica utile alla modulazione del dolore è la TENS (TransCutaneous Electrical Nerve Stimulation, stimolazione elettrica nervosa transcutanea), la quale consiste nell’applicazione sulle zone interessate di elettrodi ad emissione di impulsi elettrici a bassa frequenza, capaci di inibire la stimolazione nervosa coinvolta nella sensazione dolorifica. In aggiunta, le basse frequenze stimolano la produzione di mediatori chimici quali endorfine e oppiacei, molecole note per la loro azione analgesica.
Ulteriori utili accorgimenti per alleviare le manifestazioni associate al disturbo partono dall’adozione di norme comportamentali idonee, quali:
- Indossare biancheria traspirante, prediligendo fibre naturali;
- Evitare di inserire dispositivi igienici interni, quali tamponi vaginali o coppette mestruali;
- Mantenere una regolare e delicata igiene intima, con l’utilizzo di detergenti intimi a pH neutro;
- Evitare l’uso di salviettine intime profumate, spray o creme depilatorie alla zona vulvare;
Curare l’alimentazione con apporto di probiotici, abbondante idratazione e cibi poveri in zuccheri o lieviti.